Ricordi e nostalgia

Lo spunto per queste riflessioni nasce da un articolo di giornale e dal vecchio post di un amico nel suo blog. Ciao Lorenzo, ti ricordi “Radici e terra”?

I ricordi hanno un peso specifico e una valenza diversi da persona a persona. Per qualcuno sono un peso insopportabile di cui disfarsi il prima possibile, altri li vivono come una catena, legami col passato di cui ci si vorrebbe liberare, e magari non si riesce, per altri ancora invece sono una ricchezza, una miniera inesauribile di emozioni e sentimenti che ci fanno essere quello che siamo e ci rendono più umani, più vulnerabili dunque ma anche più autentici.
A ben guardare cosa sono i ricordi se non le tracce del nostro passato, le storie e le esperienze che abbiamo vissuto e che in qualche modo ci hanno segnato?
Ci sono certo ricordi felici e ricordi dolorosi, ma è la vita che è così; gli uni e gli altri sono indissolubilmente legati e costituiscono le nostre radici, testimonianze dirette di un’esistenza che è la nostra. Non c’è nulla di più personale e di più unico, come unico è ciascuno di noi.
Parlare di ricordi vuol dire parlare di nostalgia, un sentimento che spesso è stato interpretato come potenzialmente patologico, indice di una tendenza alla depressione.
Proviamo nostalgia per persone e cose che non ci sono più, e questo vuol dire fare i conti con la caducità della vita, con il tempo che, inesorabile, scappa via e non ritorna. Ma la inevitabile tristezza può, deve lasciare spazio a un altro sentimento, a un’altra consapevolezza: ricordo e nostalgia sono forse gli unici strumenti che abbiamo per rendere in qualche modo eterne persone e cose che appartengono al passato , e che diversamente sarebbero perse per sempre.
Cogliere questa forza, questa potenza del ricordo rappresenta dunque, in qualche modo, un invito, una sollecitazione a vivere appieno il presente. Viviamo intensamente, oggi, situazioni ed esperienze in modo da renderle memorabili, in modo da renderle, domani, degne di memoria e di ricordo.
Anche questo, credo, può rendere la vita più leggera.

Giancarlo Montalbini (pubblicato il 28 luglio 2013)

Alda Merini: la paura della solitudine

Dalla edizione domenicale de “La Repubblica” del 30 giugno.
Due pagine dedicate ad Alda Merini e un articolo dal titolo suggestivo: “La solitudine dei numeri di telefono” a firma di Ivan Carozzi e Valerio Millefoglie.
Camera da letto della poetessa , nella sua casa sui Navigli, numeri telefonici scritti sullo specchio e a tutta parete, col pennarello e col rossetto. “Il muro degli angeli” lo chiamava lei. Suggestivo anche il tentativo dei due giornalisti di ricostruire, partendo da quei numeri, il tessuto sociale di relazioni di Alda Merini.
In un altro articolo il giornalista Dario Cresto-Dina definisce la Merini “Una signora avida di parole scambiate, una moltiplicatrice di rapporti, relazioni, rotture improvvise e liaison ricucite”.
E c’è un passaggio, in quell’articolo, che mi sento di dover recuperare:
“Aveva paura di tutto ciò che è destinato a finire e, forse per questa ragione, cercava di procrastinare anche i congedi più anonimi, il saluto al passeggero di poche ore. Lo spediva nel bar di sotto a comprarle il gelato -lo stecco del cremino o la coppa del nonno al caffè- e un pacchetto di caramelle mou per il piacere di vederlo tornare sui suoi passi… Lo lasciava alla fine con dispiacere, donandogli una cartolina autografata con il rossetto e una preghiera: “Se le viene in mente qualcosa da raccontarmi, mi chiami”.
Spero che il giornalista autore dell’articolo e Alda Merini non me ne vorranno se rubo loro quella chiusa: se vi viene in mente qualcosa da raccontarmi, chiamatemi.